Nicola Abbagnano

Il problema dell'arte

"Biblioteca di Filosofia" dir. da A. Aliotta, F. Perrella, Napoli, 1925, pp. 115

Arte e realtà

Contro il concetto dell'arte come assoluta irrealtà può opporsi il fatto della profonda e vasta risonanza umana e sociale che essa possiede e per cui in ogni anima suscita fremiti, commozioni e tumulti di affetti contrastanti. E può dirsi: sia pure parvenza e illusione, il mondo delle immagini estetiche. Certo è però che né parvenza né illusione è l'èmpito interiore d'impressioni, di sentimenti, di passioni, che nell'opera d'arte si esprime; ed è qui la fonte della realtà dell'arte, la scaturigine del suo valore. D'altronde, se l'arte è sintesi di elementi simbolici, scelti nel mondo della conoscenza reale, chi potrebbe operare la sintesi e la scelta, se non appunto la stessa realtà spirituale? Per la loro natura astratta ed immobile, i simboli né sorgono, né si raggruppano in nuove combinazioni, se non sotto la spinta determinante di un'attività estrinseca: onde come la loro creazione (conoscenza) così la loro diversa combinazione (arte) presuppone sempre il potere attivo della vita, che in essa si esprime.
Ora, che la sintesi estetica supponga, allo stesso modo della verità, un'attività estrinseca che la determini e la produca, sembra indubitabile, stante l'incapacità dei simboli a combinarsi, come a prodursi da sé. L'ispirazione cui obbedisce l'artista e per cui l'opera sua gli appare suggerita da un potere estraneo, da un affetto divino, quasi energia trasmessa lungo una serie di anelli magnetizzati, secondo il paragone dell'Ione platonico - l'ispirazione estetica e l'insieme delle risonanze affettive che dànno senso e valore all'opera d'arte, e che, ove mancano, l'annullano come tale, possono appunto considerarsi quali le attività sotterranee, cui le creazioni dell'arte obbediscono. Son esse infatti che dànno valore e consistenza spirituale ai meri simboli, di cui l'arte consiste. Un'opera che sia povera d'ispirazione, e che non susciti un'eco profonda nell'animo nostro, non è un'opera d'arte; solo è tale quella in cui sentiamo muoversi e vibrare la nostra umanità dolente, e in cui scorgiamo effigiati in uno schema ideale noi stessi e le nostre passioni dominanti.
Ma questo aspetto reale o vissuto dell'arte non basta a darle effettivo valore di realtà, né a metterla sullo stesso piano dei processi conoscitivi. Giacché esso non annulla né attenua la differenza essenziale che divide i simboli conoscitivi dai simboli estetici; i primi, rivelazione diretta e originale della vita, gli altri, aggruppamento arbitrario dei primi, ad essi quindi sovrapposti e subordinati. Il fatto che anche questi aggruppamento sorgono sotto l'impulso alla vita, non toglie l'altro fatto che essi suppongono già costituito in mondo della conoscenza e sorgono sullo sfondo di questo.
Ove infatti si ottenebri e si annulli questo sfondo necessario, anche si ottenebrano e si annullano le visioni dell'arte. Cerchiamo d'immergerci nella contemplazione estetica per quanto è possibile, di perderci in essa, di obliare la nostra individualità concreta: non riusciremo mai veramente ad obliarci ed a trasumanarci a tal punto da disperdere il nucleo stesso del nostro spirito, che è anche la condizione dell'attività estetica - il mondo della vita reale e la conoscenza che su di esso si eleva. Giacché se davvero riuscissimo a chiudere e ad esaurire la nostra vita nell'ambito dell'arte, l'arte diverrebbe, essa, per noi la realtà e la vita, cesserebbe di essere arte: i suoi labili fantasmi acquisterebbero d'un colpo la ferma e rude consistenza del mondo della percezione e della scienza, e le aspre passioni della vita reale prenderebbero il posto dello slancio lirico e del rapimento dell'artista.
L'adesione dello spirito all'opera d'arte, per quanto profonda e totale, non implica quindi all'annullamento nell'opera d'arte del mondo della conoscenza reale, ma presuppone invece necessariamente l'esistenza indipendente di questo mondo. Non l'arte precede e condiziona la conoscenza, ma la conoscenza condiziona e precede l'arte. Se la conoscenza non creasse i simboli della realtà, l'arte non potrebbe servirsi di essi per le sue visioni fantastiche. Neanche quando sorge potente, l'arte riesce giammai ad oscurare la validità reale dei simboli conoscitivi. E la simultaneità della conoscenza e dell'arte in uno stesso momento di vita basta ad assicurare, con la validità reale connessa ai simboli della prima, una differenza radicale tra l'una e l'altra.
Che l'esperienza di realtà sia poi connessa alla conoscenza e non alle sintesi dell'arte, sebbene anch'esse prodotte dall'attività reale dello spirito - è un problema che a questo punto trova subito la sua soluzione, e la trova per l'appunto nel fatto che l'arte è traduzione non diretta e immediata, ma indiretta e mediata, della realtà spirituale. Se nell'arte la vita non crea simboli originali, ma solo determina sintesi nuove di elementi attinti alla conoscenza, ciò significa che la vita stessa trova nell'arte un'espressione mediata, e mediata appunto alla conoscenza. Gli aspetti o momenti della vita che determinano la creazione estetica, e trovano in essa la loro indiretta rivelazione, son quelli che hanno già prodotto i simboli conoscitivi come loro rivelazione immediata. Allo stesso modo che non v'è elemento dell'arte, che già non sia della conoscenza, così non v'è slancio, impulso o passione suscitatrice d'arte, che non abbia già trovato la sua oggettivazione conoscitiva. Se la verità è il lampo di luce che rischiara la notte profonda degl'impulsi irrazionali, l'arte è il riflesso di questa luce, il giuoco variopinto delle sue mille irradiazioni. Né la sua totale irrealtà toglie all'arte il senso e il valore che le son propri. La condanna platonica e l'esaltazione romantica dell'arte peccano entrambe nel sospenderne il valore alla validità reale: onde la prima, negandole questa, la deprime al livello di futile apparenza, quasi ombra di un'ombra, e la seconda, riconoscendola, la innalza al grado di rivelazione diretta dell'assoluto. Ora l'arte è veramente sogno, ombra e finzione, ma ciò non ne diminuisce il valore. Ché anzi le toglierebbe la consistenza, l'autonomia l'annullerebbe come arte, chi volesse porla sullo stesso piano della realtà vissuta e dei simboli conoscitivi, chi volesse strapparla al limbo delle visioni fantasticate, per porla come cosa salda nel rude cimento dell'azione e della lotta. Il valore dell'arte non sta nella validità reale che le è negata, ma nel suo potere di esprimere mediatamente la vita.

Da: N. Abbagnano, Il problema dell'arte, Capitolo VI, § 5, "Biblioteca di Filosofia", diretta da A. Aliotta, F. Perella, Genova-Napoli-Città di Castello, 1926.