Nicola Abbagnano

Guglielmo di Ockham

Carabba, Lanciano, 1931, pp. 391

La personalità di Ockham

1. Che la natura del pensiero medievale consista unicamente nella sua subordinazione alla dogmatica cristiana; che la Scolastica rappresenti l'asservimento della filosofia alla teologia, della ricerca speculativa alle esigenze dottrinali della chiesa cattolica - sono tesi che difficilmente possono ormai più sostenersi; non solo perché si sono rivelate prive di una sufficiente giustificazione storica, ma anche perché manifestano una troppo scarsa fiducia nelle forze e nelle possibilità del pensiero umano, che per un lungo volgere di secoli si sarebbe adattato ad una funzione subordinata e servile. Difficilmente l'esigenza e il bisogno della libera indagine avrebbero potuto così a lungo tacere: e in ogni caso il loro silenzio avrebbe reso impossibile ogni progresso o sviluppo nel campo stesso dell'interpretazione dogmatica. Giacchè il pensiero è il lievito e il fermento di ogni movimento dottrinale; e dove esso realmente non faccia sentire la sua libera voce ogni avanzamento culturale è impossibile, ed è impossibile l'insorgere di nuovi punti di vista e di nuove dottrine.
E' innegabile, tuttavia, che i dogmi della chiesa esercitarono un'influenza profonda sul pensiero medievale; ma da un lato questa influenza si fece sentire più come un movente psicologico che come un'autorità determinante dall'esterno il corso della speculazione; dall'altro lato, la libertà di pensiero permessa entro i limiti della cristianità cattolica fu maggiore di quella che generalmente si crede. L'elasticità e fluidità delle formule dogmatiche, che solo dopo il concilio di Trento acquistarono quella rigidezza di determinazioni che oggi posseggono, rendeva possibile salvare l'ortodossia anche non a costo di una troppo stretta adesione. La teologia e la filosofia si svilupparono così di pari passo, e se spesso le controversie teologiche ebbero dei riflessi nella filosofia e determinarono entro certi limiti la speculazione, è non meno vero che i metodi e le concezioni filosofiche ebbero una parte importante nel determinare i destini della teologia scolastica. La stessa sintesi tomistica non sarebbe stata possibile senza l'influenza delle dottrine aristoteliche, giunte in occidente nelle interpretazioni degli Arabi. Le speculazioni del XIII e del XIV sec. mostrano poi tale ricchezza di con- tenuto filosofico e tale indipendenza di atteggiamenti da togliere ogni significato al vecchio cliché di un pensiero filosofico dominato completamente da preoccupazioni dogmatiche.
Potremo dire, allora, che la dogmatica fornisce al pensiero medievale i dati fondamentali per la formulazione del problema massimo intorno al quale si esercita tutta la sua speculazione: quello dell'accordo tra ragione e fede. Rielaborare il contenuto dogmatico ed esporlo in un sistema coerente di concetti, tale si può dire la preoccupazione dominante del periodo classico della Scolastica. La fede è così il punto di partenza, non punto di arrivo della speculazione. Essa fornisce il materiale grezzo, che, passato attraverso il vaglio di concetti attinti alla filosofia greca o nuovamente creati, trova la sua sistemazione più o meno armonica nel grandi sistemi della Scolastica.
Anselmo è il primo che sia chiaramente consapevole di questo compito riservato alla speculazione nei rispetti della fede. Egli afferma con chiare parole la necessità per la ragione umana, se non vuole adagiarsi in una deplorevole pigrizia di cercare d'intendere quello che crede per fede che ama. Credo ut intelligam:1 muovendo dalla fede e servendomi dei suoi presupposti come dati necessari, posso giungere a formulare un coerente sistema di concetti, appagando così le esigenze della ragione.
E' quanto, dopo Anselmo, tutti gli scolasti cercarono costantemente di effettuare. Ma, mentre in Anselmo ogni dubbio è bandito sulla possibilità di un esito felice di siffatto tentativo, postulandosi così senz'altro l'accordo intrinseco ed essenziale di fede e ragione, a misura che si procede innanzi nella Scolastica una maggiore consapevolezza e critica si fa strada, circa la possibilità di una integrale trascrizione del contenuto dogmatico in termini di ragione. Una tappa importante sulla linea di questo processo è segnata dall'Aquinate. L'aristotelismo arabo aveva agito come un potente fattore dissolvente della fiducia ingenua nella piena coincidenza di fede e ragione: l'averroismo avrebbe anzi segnato, con la sua dottrina della doppia verità, l'arresto di ogni ulteriore sviluppo del problema scolastico. Combattuto e respinto, le esigenze che esso faceva valere vengono in parte innestate sul tronco della Scolastica da Tommaso d'Aquino. In questi la distinzione tra il dominio teologico e quello filosofico implica già il riconoscimento che la sistemazione del dogma in un insieme razionale di concetti è impossibile, in modo completo e definitivo. Questa sistemazione lascia fuori di sé un residuo irriducibile. La coincidenza tra la fede e la speculazione avviene in limiti estesi ma non è totale: la fede presenta un margine che la ragione non riesce ad assimilare.
Tuttavia, anche per l'Aquinate, la possibilità di un conflitto è esclusa del tutto. Il carattere scientifico della teologia, che egli riconferma e difende, e il compito positivo di difesa e di delucidazione che egli attribuisce alla ragione anche rispetto a quei punti (creazione, trinità, incarnazione) che cadono al di fuori del dominio del pensiero logico, dimostrano l'unità e l'armonia che ancora conservano, nel pensiero tomistico, la ragione e la fede.
Né può dirsi che tale unità ed armonia vengano meno nel pensiero dell'altra forte personalità che, dopo Tommaso, influisce potentemente sulle correnti della Scolastica: Duns Scoto. Chiamando la teologia scienza pratica e mettendo in luce la natura pratica anche di quelle verità teologiche, che a prima vista non hanno nessun riflesso nella azione, Duns stabilisce tra la teologia e la ricerca filosofica una separazione ben più radicale e netta di quella che aveva stabilito Tommaso. Tuttavia l'insieme della speculazione di Duns ci mostra ancora in atto dentro di sé la fiducia nella possibilità di una esplicazione razionale del dogma e il tentativo di effettuarla: la rielaborazione da lui fatta delle prove dell'esistenza di Dio, la trattazione della Trinità e dell'incarnazione, sono lì a provarlo. Solo da Ockham quella fiducia è per la prima volta abbandonata e quel tentativo è per la prima volta intermesso. In completa indipendenza dallo avverroismo, di cui non subisce minimamente l'influsso, e con tutt'altro spirito, Ockham annulla quel presupposto che da Anselmo a Duns era stato il faro luminoso del pensiero scolastico. Quale è il valore e la portata dell'atteggiamento di Ockham?

2. Essenziale è in quest'atteggiamento l'abbandono del punto di partenza tradizionale della ricerca filosofica. Il dato da cui questa ricerca parte non è più la dogmatica, ma è l'esperienza. Il vecchio motto "Credo ut intelligam" perde qui veramente il suo significato, in quanto per Ockham non si tratta di procedere dalla fede alla ragione, di esprimere e formulare in un sistema di concetti il credo ecclesiastico, ma si tratta di effettuare la elaborazione concettuale dei dati che l'esperienza offre. Dopo aver accertato, proprio sulle basi dell'esperienza, alcuni punti fondamentali, Ockham procede con vigorosa dialettica alla critica delle vecchie concezioni aristoteliche e scolastiche ed alla elaborazione di concetti nuovi, più aderenti agli insegnamenti dell'esperienza. L'individualità del reale e la sua immediata rivelazione allo spirito umano sono i fondamenti che egli pone alla sua speculazione. La sua preoccupazione dominante è quella di allontanarsi il meno possibile da tali fondamenti.
Solo così ci spieghiamo il suo atteggiamento quasi esclusivamente critico di fronte ai problemi della teologia. Le difficoltà e le contraddizioni che egli scopre nel dominio della fede ci mostrano che non da questo dominio la speculazione filosofica trae per lui le sue radici ed i suoi succhi vitali, ma che essa ha conquistata oramai la sua indipendenza e la sua autonomia. Certamente, più volte egli dichiara di ammettere e di accettare per fede conclusioni o credenze che la ragione si rifiuta di ammettere o dichiara fallaci. Ma, salvo questo nudo riconoscimento, quelle conclusioni e credenze non hanno alcuna presa sull'animo di lui, non guidano né illuminano la sua speculazione, non agiscono come forze o motivi immanenti ad essa. Il suo pensiero si muove libero, di una libertà sovrana. Quando scoppia il conflitto tra le conclusioni cosi raggiunte e le credenze della fede, la volontà di lui è pronta ad inchinarsi alla fede, ma il suo pensiero procede innanzi diritto. L'interesse che lo anima non si origina più dalla fede, ma è puramente speculativo. Egli incarna già in sé l'abito e la passione della ricerca scientifica che son propri del mondo moderno. Sotto questo aspetto, nonché essere l'ultima delle grandi figure della Scolastica, egli è il primo pensatore del Rinascimento. La figura stessa del filosofo muta ai suoi occhi ed egli avverte esplicitamente che nel dominio della scienza o della filosofia è sapiente solo colui che si affida alla ragione naturale.2 Egli stesso ha quindi piena coscienza della natura o dell'orientamento del suo pensiero, di cui la sua vita e i suoi scritti politici sono una difesa incessante. Egli afferma esplicitamente la libertà della ricerca filosofica, dichiarando che le asserzioni precipuamente filosofiche, le quali non toccano la teologia, non debbono essere da alcuno solennemente condannate o vietate, perché in esse ognuno deve essere libero di dire liberamente ciò che gli pare.3 Per la prima volta una simile rivendicazione veniva fatta; e ad essa Ockham ispirava tutta la sua attività politica. Dall'epoca della sua fuga da Avignone egli abbraccia la causa imperiale e la difende tenacemente per venti anni con un complesso imponente di opere in cui segue tutte le fasi della lotta tra l'Impero e il Papato avignonese, perseguitando quest'ultimo nei suoi uomini e nelle sue istituzioni. Ora la mira di Ockham in questa lotta non è soltanto l'impero, ma va al di là degli stessi interessi imperiali che egli difende. Concependo la Chiesa come una libera comunità, la quale, in quanto persegue interessi e finalità puramente spirituali, deve salvare e garantire il bene massimo dello spirito, la libertà, che il Cristianesimo ha rivendicato per gli uomini, egli limita l'assolutismo al solo potere politico, perché questo, secondo il vecchio concetto medievale, non si esercita che sulle cose corporee e temporali. La chiesa che è il dominio dello spirito dev'essere il regno della libertà: l'impero, che non ha in suo potere le anime, ma i corpi, e deve garantire l'ordine e la pace del mondo, può invece, e deve, avere su tutti un'assoluta autorità. Tale è l'essenza delle dottrine politiche di Ockham, nelle quali è facile quindi vedere che il vero movente non è quello politico, ma quello spirituale. Se il movimento di reazione e di opposizione all'assolutismo papale cui Ockham partecipava difendeva il diritto della coscienza religiosa di non essere oppressa e limitata nella spontaneità della sua vita e nella ricchezza delle sue manifestazioni, Ockham difende innanzi tutto i diritti del pensiero filosofico. La prima parte della sua maggiore opera politica, il Dialogo, è difatti dedicata alla chiesa e all'illustrazione analitica della tesi che abbiamo espressa con le sue stesse parole.

3. L'autonomia di Ockham non fu tale tuttavia da sottrarlo completamente agli influssi della sua epoca e alle forme che il pensiero aveva assunto nella Scolastica. E' innegabile che egli dedicò spesso l'acume della sua mente e la sua erudizione all'esame di questioni che appariscono strane e repugnanti al gusto di noi moderni; è innegabile che il suo pensiero è aduggiato dal macchinoso e pesante procedere della forma scolastica della quaestio, nella quale il pro e il contro di ogni tesi son discussi minutamente in una complicata suddivisione di membri; ed è del pari innegabile che talvolta la forza distruttrice della sua dialettica sembra prevalere di molto sulla sua facoltà di ricostruzione. Ma chi voglia tentare la ricostruzione e la valutazione della personalità filosofica di Ockham deve procedere al di là della forma esteriore delle sue opere per cogliere la viva corrente di pensiero che le pervade. La sua personalità ci appare allora potente. Gli elementi più notevoli della tradizione scolastica, il nominalismo di Abelardo, l'empirismo di Ruggero Bacone, la metafisica di Duns Scoto, sono da lui compendiati e fusi nell'unità di un sistema, che se perciò da un lato si riconnette alla tradizione e la continua, dall'altro si avanza arditamente verso il futuro.4
Abbiamo nominato Abelardo: indubbiamente egli è l'iniziatore di quella corrente nominalistica che trova in Ockham la più matura espressione. Egli nega difatti che il concetto sia una res, una realtà comunque esistente al di fuori dell'anima; non esiste l'universale fuori delle cose singolari, il genere fuori della specie. Quando i filosofi dicono che il genere è creato o prodotto dalla specie, non perciò presuppongono che il genere preceda la specie nel tempo o nell'esistenza. Il genere non fu in alcun modo prima della specie né potette essere un animale, prima che fosse ragionevole od irragionevole: onde il genere non può esistere che con la specie, come questa non può esistere che con quello.5
Abelardo si preoccupa, tuttavia, di sodisfare l'esigenza propria del realismo, ammettendo nella realtà un elemento che corrisponda alla universalità del concetto. Egli trova quindi che le cose singole nelle loro proprietà o nella loro natura sono uniformi o simili, sebbene questa uniformità o somiglianza non costituisca a sua volta una res una cosa singola. Tutte le cose discrete sono opposte di numero, egli dice,6 come Socrate Platone, ma esse convengono in qualche cosa, ad es., in ciò, che sono uomini. E questa loro convenienza o uniformità dev'essere alcunché di reale: essa è definita da Abelardo come uno status, che non è né una res, né un nihilum. L'affermazione che la somiglianza o l'uniformità delle cose non è essa stessa una cosa - egli avverte esplicitamente7 - non deve intendersi nel senso che esse convengano e siano unite in un nulla, ma nel senso che, ad es., più uomini convengono nello stato di uomo, cioè sono uomini, e come tali non differiscono.
Ci si può domandare in che cosa questa forma di nominalismo si differenzi da quella sostenuta da Ockham, e che cosa quest'ultimo abbia aggiunto di nuovo alla dottrina di Abelardo. E certamente, se si accetta di Ockham l'interpretazione corrente, ammettendo che anch'egli abbia postulato una uniformità reale degli oggetti, corrispondente all'universalità del concetto, la sua maggiore originalità viene negata, e difficile riesce allora l'intendere il carattere di simbolo o segno che egli attribuisce al concetto. Ma noi vedemmo che una siffatta interpretazione contraddice a un punto essenziale del pensiero di Ockham: alla dottrina delle relazioni. L'uniformità o simiglianza delle cose singole è una relazione: ora, la relazione, secondo Ockham, è solamente un concetto. L'aver trascurato questo punto di capitale importanza ha reso impossibile intendere la vera posizione di Ockham nel problema della validità della conoscenza concettuale. Se ogni relazione è un concetto, e per conseguenza è un concetto o intentio l'uniformità o somiglianza che si riscontra tra gli oggetti dell'esperienza, ogni pendant del concetto, ogni sua base o controparte oggettiva, ogni elemento che comunque corrisponda ad esso in rerum natura diviene inconcepibile. Il realismo è allora, e solo allora, eliminato completamente. Il concetto diviene una pura funzione mentale.
Qui è dunque l'originalità della dottrina di Ockham. Abelardo non aveva realizzato pienamente, nella sua integrità, la tendenza nominalistica. Anche se non è una res, l'uniformità, lo status comune di cui le cose partecipano, è pur sempre un elemento universale della realtà; e questa non è allora veramente individuale. Giacché, comunque e con qualunque attenuazione si ponga nella realtà un elemento universale, esso diviene subito l'elemento ultimo ed essenziale, il solo veramente reale: e l'individualità diviene un accidente, un carattere subordinato e secondario. L'evidenza con cui questa verità si presentò alla mente di Ockham lo indusse a combattere la realtà dell'universale fin nelle estreme cittadelle che essa occupava: solo così Ockham ha potuto superare la vecchia posizione scolastica e raggiungere una nuova dottrina del concetto.

4. Nel determinare la derivazione storica della dottrina ockhamistica, il Prantl8 notò che gli elementi di essa si incontrano tutti nella scolastica precedente. Così l'affermazione che l'universale ha almeno una realtà psicologica ed esiste subiective nell'anima, si riscontra già in Egidio Romano, Giovanni di Jeandun, Antonio Andrea, Giovanni Baconthorp e in altri. Che questo lato soggettivo sia decisivo per l'universale stesso era stato già rilevato da Durando di Pourçain, da Walter Burleigh e da altri; infine, che la funzione soggettiva sia essenziale nel linguaggio e nell'imposizione dei nomi, era stato già messo in luce da Durando, da Armando di Beauvoir e dallo stesso Aureolo. Il Prantl riduce quindi l'originalità di Ockham all'aver egli considerato l'universale come termine, e all'aver definito la funzione del termine col concetto della suppositio.
In verità, il Prantl, al quale era sfuggita interamente l'importanza della cognitio intuitiva, che domina tutto il sistema di Ockham, non poteva neppure valutare adeguatamente la teoria del concetto. Secondo Ockham, il concetto, come vedemmo, non è altro che un simbolo. Come tale, il concetto non è né una species, né una similitudo degli oggetti, non somiglia agli oggetti, né li riproduce in nessun modo. E' chiaro che, se ci fosse negli oggetti stessi una uniformità o comunità di caratteri o di natura, secondo la tesi di Abelardo, il concetto sarebbe la riproduzione o l'immagine di quella uniformità o comunità, come pongono le ipotesi combattute da Ockham: non sarebbe un simbolo, come Ockham invece ritiene. Questi punti della sua dottrina, cioè la negazione di ogni somiglianza oggettiva e la natura simbolica del concetto, sono quindi legati strettamente; ognuno sta o cade con l'altro.
Ora questa dottrina del carattere simbolico del concetto - dottrina di cui il Prantl non rivelò l'importanza - è profondamente originale e si doveva rivelare straordinariamente feconda nella storia del pensiero. Una classificazione dei segni assai simile a quella che sarà poi fatta da Ockham si trova in Ruggero Bacone;9 ma nessuna applicazione ne è fatta alla teoria del concetto. Il segno possiede una validità sua propria, completamente diversa dal rapporto di corrispondenza o di somiglianza che si soleva stabilire tra il concetto e gli oggetti reali. Esso si riconnette alla realtà per il tramite dello stesso processo col quale si genera. Giacché esso non è affatto arbitrario e convenzionale, e la volontà umana non entra nella sua genesi. La realtà stessa, rivelandosi immediatamente allo spirito umano nell'intuizione, produce il suo simbolo nell'intelligenza. Questa produzione è puramente naturale, cioè accade in maniera uniforme e costante, onde toglie al simbolo concettuale il carattere arbitrario che avrebbe se fosse stabilito per convenzione. Quando si dice che il concetto rappresenta la realtà si deve dunque intendere, secondo Ockham, che la realtà ha prodotto il suo signum nell'intelletto.
Ma che qualcosa sia il simbolo di un'altra o di più altre vuol dire che essa sta per queste e può essere da una qualunque di esse sostituita in tutti i complessi nei quali si trova. In ciò consiste la suppositio del concetto. La suppositio, perciò, non esprime, come credette il Prantl, la natura fondamentale del concetto, ma solo esprime la funzione che il concetto ha, in quanto è un simbolo; sicché solo la simbolicità esprime l'essenza vera del concetto. Ockham ha elevato la dottrina grammaticale e formalistica della suppositio ad un superiore significato, innestandola alla sua gnoseologia.
E' quasi ozioso far rilevare quale vitalità possegga questa dottrina ockhamistica del concetto che ritorna in numerose tendenze e indirizzi nella filosofia contemporanea,10 dopo aver esercitato un'influenza profonda sull'empirismo di Locke, di Berkeley e di Hume. Basti qui solo rilevare che non si potrebbe esprimere meglio la funzione universale che Ockham attribuisce al concetto che con le parole con le quali Berkeley stesso definisce la sua propria dottrina. L'universalità, egli dice, non consiste nella natura o nella concezione positiva, assoluta, di qualche cosa, ma solo nella relazione dell'universale stesso agli oggetti particolari che esso significa e rappresenta. In virtù di questa relazione le cose, i nomi e le nozioni che sono particolari nella loro natura propria, divengono universali. E così, quando dimostro una proposizione sui triangoli, si suppone che io abbia l'idea universale di triangolo; ma non bisogna intendere ciò nel senso che io possa formarmi l'idea di un triangolo che non sia né equilatero né scaleno né isoscele; ma nel senso che il triangolo particolare che io considero, qualunque sia la sua specie, sta in luogo di tutti i triangoli rettilinei e li rappresenta ugualmente. E' in questo senso che esso è universale.11

5. Il nominalismo costituisce il momento negativo della gnoseologia di Ockham. La dottrina del concetto come simbolo, che abbiamo ora esposto, presuppone necessariamente il momento positivo: l'empirismo. Anche qui è facile riscontrare gli antecedenti storici della dottrina di Ockham, il più importante dei quali è senza dubbio la dottrina di Ruggero Bacone. Ma anche qui, se dai vaghi confronti si passa all'esame preciso, non si scopre che una lontana e superficiale analogia. Bacone mette bensì in rilievo il valore dell'esperienza, la quale sola fa acquistare l'animo in intuitu veritatis;12 ma si tratta di un'esperienza che ha un carattere ermetico e magico come tutta la scienza sperimentale. L'ars sperimentalis di cui Bacone parla è l'arte delle arti, l'arte sublime e magnifica, la Grande Arte, quella della trasmutazione dei metalli e del prolungamento della vita.13 Ci spieghiamo quindi come egli possa ammettere, accanto all'esperienza sensibile, e sullo stesso piano di essa, ritenuta insufficiente rispetto alle cose spirituali ed a quelle stesse corporee, un'esperienza soprannaturale, propria dei patriarchi e dei profeti, i quali dettero la prima volta le scienze al mondo perché ricevettero l'illuminazione interiore.
Inoltre, Bacone non definisce il significatognoseologico dell'esperienza. Si tratta di un intuito: ma non sappiamo il modo in cui questo intuito è possibile e in cui esso opera. Al suo carattere di conoscenza immediata contraddice poi il fatto che Bacone ritiene necessaria la specie come intermediaria tra la conoscenza stessa e la realtà esterna.14 Infine non si trova in Bacone neppure un accenno a quella dottrina dell'induzione cui Duns accenna e che viene formulata chiaramente da Ockham.15
L'empirismo di Ockham si organizza invece in un sistema ricco di determinazioni e di sviluppi. Il suo punto di partenza è la conoscenza intuitiva definita come conoscenza che ci permette immediatamente di affermare e negare la realtà dell'oggetto. Il carattere di immediatezza di tale conoscenza è messo in risalto dalla negazione di ogni species intermediaria ritenuta come un inutile ed ingombrante fantasma della realtà: onde la conoscenza intuitiva costituisce senz'altro l'unità intrinseca della realtà e dello spirito, pur nella loro distinzione. Di fronte alla conoscenza intuitiva, la conoscenza astrattiva si definisce come quella che prescinde dal riferimento alla realtà e che quindi nulla ci dice circa l'esistenza o la non esistenza del suo oggetto. Il rapporto di derivazione che Ockham stabilisce tra l'una e l'altra, onde non v'è conoscenza astrattiva che non derivi da una precedente conoscenza intuitiva, richiama alla mente la distinzione e il rapporto che Hume stabilirà tra le impressioni e le idee.
Abbiamo messo in luce, nel corso del lavoro, come Ockham si mantenga strettamente fedele a questi capisaldi della sua dottrina e come si rifiuti risolutamente ad ogni conclusione che sia in contraddizione con essi. Un corollario senza dubbio notevole che egli ne trae è l'impossibilità per il pensiero discorsivo e logico di farci conoscere quello che non è già attinto nell'esperienza. Alla fine di un procedimento discorsivo si può arrivare ad un giudizio che era precedentemente ignoto: ma tutti i termini di questo giudizio dovevano precedentemente esserci noti mediante una conoscenza semplice. Il procedimento discorsivo va da un termine complesso ad un altro termine anche esso complesso, ma non ci dà la conoscenza semplice di alcun termine, la quale, anzi, viene da esso presupposta. Così ad es. chi vuole procedere discorsivamente dalle creature a Dio presuppone la conoscenza semplice sia di Dio sia della creatura e di ciò che è significato dall'uno e dall'altro termine.16
Il giudizio, in quanto è una conoscenza complessa, deve anch'esso risultare formato di termini semplici dati precedentemente nell'intuizione; e questa misura determina la sua validità. Alla dottrina dell'inerenza del predicato nel soggetto Ockham ne sostituisce un'altra secondo la quale il giudizio costituisce un tutto che si riferisce alla realtà dell'esperienza e che è vero o falso a seconda che l'esperienza lo conferma o lo rigetta. Perde qui ogni senso la definizione della verità come adeguatio intellectus et rei. Il giudizio che è composto di simboli non si adegua alla realtà ma la esprime. E la realtà che esso esprime non trascende lo spirito umano, ma è quella che lo spirito stesso attinge nell'intuizione.
Con ciò, l'esigenza propria del realismo, di fondare la validità della scienza, è sodisfatt in un modo che è tanto lontano dalla mentalità realista dei filosofi medievali, quanto è vicino al concetto moderno della scienza. I segni di cui si compone la scienza sono veri e reali, non già perché siano la produzione soggettiva di una realtà esterna universale, ma solo perché stanno in luogo delle cose reali. La verificabilità dei simboli e delle proposizioni della scienza nel campo dell'esperienza costituisce la realtà della scienza, la sua oggettiva validità. Questa affermazione di Ockham: che sia pienamente valida una scienza composta di segni che non riproducono alcuna realtà, mostra sino a qual punto egli abbia superato il vecchio concetto platonico della scienza che aveva dominato per tutta l'antichità e il medioevo. La dottrina dell'induzione che troviamo delineata e svolta nelle sue opere è la necessaria conseguenza di questo suo concetto della scienza. Se la conoscenza intuitiva è l'origine di ogni conoscenza evidente, solo da essa la scienza deve assumere i suoi dati; e da questi dati che sono sempre particolari essa deve via via risalire a principii universali.
All'acutezza di Ockham non è sfuggito neppure il fondamento del procedimento induttivo, fondamento che egli ha additato nel principio dell'uniformità delle leggi naturali.

Da: N. Abbagnano, Guglielmo d'Ockham, Carabba, Lanciano, 1931.