PERRINI M.

C'è anche la ragione del cuore (L'esistenzialismo positivo di Nicola Abbagnano)

in "Giornale di Brescia" 11 Aprile 1986 - 1986

L'esistenzialismo positivo di Nicola Abbagnano

 
L'esistenzialismo positivo di Nicola Abbagnano
 
La prima reazione all’esistenzialismo nella filosofia italiana tra le due guerre fu di rigetto. La riprova è nelle pagine sconcertanti che un pensatore per altri aspetti accogliente e storicamente agguerrito, Guido Ruggiero, gli dedicò in Filosofi del Novecento. Qualche spiraglio di intelligente comprensione si ebbe con gli scritti di Ernesto Grassi e di Franco Lombardi, figli ambedue di madre tedesca, ma coloro che inserirono l’esistenzialismo in un processo di rinnovamento della filosofia italiana furono Nicola Abbagnano sul piano della proposta teoretica e Luigi Pareyson su quello storiografico.
La struttura dell’esistenza di Abbagnano, edito a Torino nel 1939, quando sull’Europa trionfavano i totalitarismi (Mussolini, Stalin, Hitler, Franco e i loro satelliti), rimane uno dei pochi, autentici capolavori della filosofia italiana del Novecento e desta nell’animo del lettore ancora oggi il gusto della libertà responsabile, moralmente operosa. Le altre opere principali di Abbagnano sono Introduzione all’esistenzialismo del 1942 e l’Esistenzialismo positivo del 1948. Chi è dunque Nicola Abbagnano? Non è facile costringere in uno schema l’itinerario di una coscienza, soprattutto quando la sua linea di svolgimento non presenta rovesciamenti, ma transizioni continue e approfondimenti legati sempre di più, soprattutto nell’ultimo ventennio, dal filo della saggezza. Salernitano, come Nicola Petruzzellis e Michele Federico Sciacca, fu discepolo di Antonio Aliotta, un pensatore che nulla concesse alla moda neo-idealistica, resistendo a viso aperto a Croce e a Gentile. Abbagnano studiò a fondo il rapporto tra filosofia e scienza, attraverso ricerche prevalentemente storiche, e fu attraverso quegli studi che maturò nella sua mente la consapevolezza della peculiarità della filosofia come specifica indagine su ciò che è propriamente umano nell’uomo. Colui che muoveva incontro ad “una metafisica a cui non sia estraneo nulla di ciò che è umano” e rivendicava l’ufficio insostituibile di “una ragione che sappia far sue anche le ragioni del cuore” avvertì la sintonia tra il suo modo di filosofare e quello del “Socrate del nord”, Soeren Kierkegaard, che finalmente entrava nella cultura italiana insieme a Heidegger e a Jaspers. Al capolavoro teoretico, La struttura dell’esistenza, seguì tra il 1946 e il 1950 la Storia della filosofia, per il tipi della torinese Utet, opera animata, appunto dall’esplicita convinzione che “la filosofia è l’uomo stesso, l’uomo che si fa problema a se stesso e cerca le ragioni e il fondamento dell’essere che è suo”. La filosofia è la storia di persone che dialogano intorno al loro destino e le dottrine non sono che espressioni di questo dialogare ininterrotto, in cui domande e risposte si richiamano e si corrispondono attraverso i secoli.
A chi scrive queste note la Storia dell’Abbagnano insegnò parecchie cose in quegli anni di fervore, ma di due gliene serba particolare gratitudine. La prima è che vi è un rapporto di libera interdipendenza che lega tutti insieme coloro che cercano. Il grande esempio è quello di Socrate e Platone. Questi cercò tutta la vita di far emergere e giustificare il significato del messaggio e della figura del maestro, procedendo, quando era necessario, oltre l’involucro del socratismo dottrinale; e così una delle più alte e belle filosofie nacque da un atto rinnovato di fedeltà. L’altro insegnamento di Abbagnano è che “non ogni dottrina successiva nel tempo, è perciò solo, più vera delle precedenti.” Il problema di ciò che siamo e dobbiamo essere è fondamentalmente identico col problema di ciò che furono e vollero essere, nella loro sostanza umana, i filosofi del passato. Ecco perché i grandi pensatori di ogni epoca - i maggiori tra essi a cui Abbagnano ha dedicato particolare attenzione sono Platone, Agostino, Pascal, Kant, Kierkegaard - non possono andar perduti, non possono essere misconosciuti senza un grave impoverimento dell’umanità. La prospettiva filosofica di Abbagnano è stata designata come “esistenzialismo positivo”. L’esistenza dell’uomo si caratterizza, si autentica nella misura in cui l’uomo si fa problema a se stesso (“e io divenni a me stesso un gran problema” dice ad un certo punto delle Confessioni Agostino). L’esistenza è drammatica perché di fronte ad ogni scelta, almeno interiormente, siamo sempre noi a prender posizione tra diverse e opposte possibilità. Si tratta di optare, di scegliere ma per una possibilità che conservi la possibilità dell’opzione. “Mentre molte scelte disgraziatamente distruggono la possibilità stessa di scegliere ulteriormente, l’imperativo categorico dell’esistenzialismo positivo impone una sola cosa: il rispetto della possibilità della possibilità”. Il rapporto dell’uomo con l’essere rimane problematico, ma non è inevitabilmente “scacco” e “naufragio”, impossibilità di attingere il significato o di staccarsi dal nulla. Abbagnano rimprovera ai due caposcuola tedeschi, Heidegger e Jaspers, proprio il fatto che le loro dottrine, per le loro intenzioni e premesse, ricadano nei sistemi della necessità o della impossibilità. La stessa argomentazione Abbagnano rivolge contro Sartre e la sua dottrina dell’indifferenza nichilista di tutte le possibilità. Nelle ulteriori indagini condotte nel lungo arco della sua operosa giornata, Abbagnano è parso talora concedere troppo agli interlocutori: allo strumentalismo del maggiore filosofo americano, Dewey, al neo-illuminismo tornato alla ribalta con il declino del marxismo, e persino al neopositivismo logico di un Ayer. Ma il Nostro non merita questi rilievi. Come ha ben detto Mathieu, “nell’Abbagnano le nuove forme di riflessione non lasciano cadere l’esistenzialismo, ma gli danno una nuova tonalità”. L’equilibrio profondo del pensatore è documentato dal suo libro Filosofia, religione, scienza del ‘ 47. In quell’opera Abbagnano ricorda che accanto alla “fede filosofica”, di cui parlava Jaspers, c’è anche la “fede religiosa”. La filosofia muove dalla stessa radice della religione, e da ultimo, tende a ricongiungersi con essa. Sono la filosofia e la religione le componenti essenziali dell’umanità, le forme che ne salvaguardano il cammino, le condizioni per usare con saggezza delle immense potenzialità della scienza. Nell’ultima fase tutti i motivi precedenti rifluiscono gli uni negli altri, con spontaneità, e acquistano la forza di risvegliare le coscienze, di parlare ad ogni uomo in quanto tale, casalinga o dirigente d’industria, giovane e anziano, “omo senza lettere” o filosofo – nella misura in cui ognuno abbia il coraggio di muovere alla ricerca del significato. Le raccolte di elzeviri Per o contro l’uomo (1968), Fra il tutto e il nulla (1973) e La saggezza della vita (1986) sono lì ad attestare il coraggio, la finezza e il vivissimo senso umano del loro autore.
                                                                                                                                                                                                                                      Matteo Perrini
In: “Giornale di Brescia”, 11 aprile 1986
Articolo scritto in occasione dell’incontro con il filosofo Nicola Abbagnano sul tema: “La tolleranza come valore”.