VOLPI F.

Il filosofo ottimista. Il centenario di Nicola Abbagnano

in "La Repubblica", 14 Luglio 2001 - 2001

Il filosofo ottimista

FRANCO VOLPI
Il centenario di Nicola Abbagnano
Il filosofo ottimista
Fu uno straordinario maestro, come prova la sua "Storia della filosofia"


Esattamente cent'anni fa, il 15 luglio 1901, nasceva a Salerno Nicola Abbagnano, uno dei pochi maestri della filosofia italiana del Novecento capaci di dare respiro e visibilità internazionali al proprio pensiero. A distanza di un secolo - un secolo che la storia ha convulsamente e contraddittoriamente riempito di progresso e barbarie, conquiste e tragedie, benessere e dolori - che cosa rimane oggi della sua opera? E' chiaro che essa non sopporta di essere ridotta in un unica prospettiva, a uno degli "ismi" con cui la si è comodamente etichettata: "esistenzialismo", "neoilluminismo", "pragmatismo" e quant'altro. Il pensiero di Abbagnano non è monofasico, ma si sviluppa in un itinerario ecco e coerente, caratterizzato dall'apertura critica ai diversi problemi di volta in volta centrali. Certo, sul piano della speculazione filosofica il suo merito maggiore - quello per cui di solito viene ricordato - è il contributo che diede allo sviluppo dell'esistenzialismo in opere come La struttura dell'esistenza (1939), Introduzione all'esistenzialismo (1942), Esistenzialismo positivo (1948).In Europa, con Jaspers, Heidegger e Sartre, la filosofia dell'esistenza seduceva per i toni estremi e radicali, e la visione drammatica della finitudine umana gettata nell'assurdo di una irredimibile fatticità.
Abbagnano non importò semplicemente tale motivo nella cultura filosofica italiana allora dominata dal neoidealismo, ma lo elaborò con originalità in un "esistenzialismo positivo". Per lui l'uomo è esistenza "esser-ci", non tanto nel senso che deve essere il "ci" in cui è gettato - la sua condizione individuale, la sua situazione storica, la sua lingua, la sua tradizione - ma nel senso che può interpretare e progettare questa sua "gettatezza" come possibilità d'essere positiva, scegliendo di volta in volta che farne. La finitudine non è insomma una angusta prigione in cui la vita umana è ingabbiata, ma lo spazio aperto di possibilità in cui l'esistenza si slancia nelle sue aspirazioni e realizza i suoi progetti. Quindi la consapevolezza del limite non schiaccia l'uomo, ma lo richiama alla responsabilità del suo "poter essere"; non lo chiude nell'amarezza e nel disfattismo di una scepsi nichilistica, ma gli trasmette la fiducia nelle capacità della ragione umana che si apre al possibile.
Nasce qui il neoilluminismo di Abbagnano, ossia l'esigenza di un esercizio e un impegno critico volto a combattere ogni forma di sonno della ragione. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta egli si attivò per diffondere l'istanza neoilluministica nella cultura italiana come alternativa alla contrapposizione allora imperante tra marxisti e cattolici, e fu coadiuvato in questo dagli allievi Pietro Rossi e Carlo Augusto Viano, e da intellettuali come Norberto Bobbio e Uberto Scarpelli. L'assunto secondo cui la vita umana è apertura al problema alimenta anche le meditazioni dell'ultimo Abbagnano, soprattutto quelle raccolte nel libro La saggezza della vita (1985), svalutate talvolta come espressioni di filosofia popolare. Abbagnano intende invece stanare la filosofia dal rifugio eburneo di un autocompiaciuto e autoreferenziale esercizio, dai tecnicismi del linguaggio
disciplinare in cui volentieri si perde. La richiama perciò a essere quello che anticamente era: non soltanto sapere teorico puro ma anche esercizio concreto di saggezza, arte di ben condurre la propria vita, saggezza pratica, dunque sapere consiliatorio e parenetico che insegna ad affrontare scelte e problemi cui la vita ci pone di fronte. Eppure, più che gli insegnamenti teoretici, ciò che oggi vive di Abbagnano è la sua Storia della filosofia. Essa riscosse prestigiosi apprezzamenti, come quello di John Dewey che scriveva alla Utet: "Veramente poco, se non nulla, e sfuggito alla sua attenzione. E, quel che è più importante, io sono rimasto ugualmente impressionato dalla capacità di giudizio manifestata nelle scelte fatte e dalla competente penetrazione critica che mostra nei sommari e nei commenti. I value the book highly".
Vastissima fu poi l'influenza che il manuale ebbe, nelle sue varie edizioni, sulla scuola e sull'università italiana, essendo a lungo il più adottato. Negli anni Settanta, con l'affermarsi di strumenti ideologicamente impegnati, il suo successo subì tuttavia una crisi che lo fece quasi sparire dal mercato. Grazie però agli informati e intelligenti aggiornamenti di Giovanni Fornero - l'allievo che Abbagnano designò come continuatore della sua opera - esso è oggi di nuovo la storia della filosofia più diffusa, ed è stato tradotto anche all'estero.
Gli si affianca il celebre Dizionario di filosofia, aggiornato anch'esso da Fornero, che ne ha fatto una indispensabile guida per la chiarificazione dei concetti filosofici e la comprensione delle loro trasformazioni semantiche. Entrambe le opere vivono perché vive in loro lo spirito con cui Abbagnano interpretò il singolare ruolo dello storico della filosofia: un imbalsamatore di idee, uno che per conservare deve inevitabilmente uccidere, ma anche uno che deve cercare di tenere vivo il senso dei grandi problemi dell'uomo.
Ciò vale più che mai nell'età della scienza e della tecnica, che non hanno reso superflua la filosofia ma le hanno dischiuso nuovi spazi. Abbagnano intendeva aprirsi al domandare nella consapevolezza non subìta ma positivamente esperita del limite. Era insita per lui nell'esistenza umana, come per Platone, una motivazione originaria al filosofare. Sapeva che i grandi problemi filosofici non assillano l'uomo perché li risolva, ma perché li viva. 

In: "La Repubblica", 14 Luglio 2001