VATTIMO G.

Il filosofo? E' un militante. Abbagnano, l'importanza di parlare a tutti

"La Stampa", 29 marzo 1996 - 1996

Il filosofo? E’ un militante. Abbagnano, l’importanza di parlare

Il filosofo? E’ un militante.  Abbagnano, l’importanza di parlare a tutti
 
I convegni periodici che si organizzano per riesaminare la figura di questo o di quel pensatore, anche di quelli scomparsi in anni recenti (come è il caso di Abbagnano, morto nel 1990), non hanno solo il significato, niente affatto rituale del resto, di riunire in un atto di omaggio e di commemorazione affettuosa antichi discepoli e più giovani estimatori della loro opera: sono ben più significativamente un modo di rifare i conti con il loro insegnamento alla luce delle nuove esperienze che nel frattempo si sono accumulate nel campo della filosofia. Così, a sei anni dalla sua scomparsa, come appare nell'attuale situazione della filosofia italiana il significato del pensiero di Abbagnano? Presso il grande pubblico, egli è stato presente in questi ultimi anni soprattutto con la riedizione e la continuazione, ad opera del suo allievo Giovanni Fornero, dei suoi grandi manuali di storia della filosofia (di cui Fornero ha egregiamente curato i due ultimi volumi sul pensiero contemporaneo, e che sono stati finalmente pubblicati, sempre dalla Tea, anche in edizione economica proprio pochi mesi fa). Ma negli ultimi anni della sua vita, Abbagnano era anche diventato molto noto fuori dell'ambiente degli specialisti per una serie di scritti di ‘filosofia popolare’ - non divulgativi nel senso banale della parola, ma piuttosto di significato etico e meditativo: pensiamo per esempio ai libri come Questa pazza filosofia ovvero l'Io prigioniero (1973) e, soprattutto, La saggezza della vita (1985), che riprendevano e sviluppavano interventi pubblicati su quotidiani e settimanali di larga diffusione. Ecco, ridiscutere oggi il senso del pensiero di Abbagnano sembra voglia dire confrontarsi soprattutto con questo problema: come si compongono i due aspetti della sua opera, quello specialistico, non solo di storico della filosofia ma anche di originale pensatore teorico, e quello di maestro di saggezza pratica che parla al grande pubblico dei ‘problemi di tutti’? La domanda non ha solo un senso teorico: alcuni tra i discepoli più diretti di Abbagnano - che fu per molti anni professore a Torino e che vi costituì una fiorente scuola - sono oggi prevalentemente impegnati nel proseguire il suo insegnamento di storico della filosofia, lasciando in secondo piano sia il suo pensiero teorico (legato, come si sa, alla grande stagione dell'esistenzialismo), sia, soprattutto, il suo ultimo interesse per la filosofia come scuola di saggezza. Verso quest'ultimo aspetto, anzi, si ha talvolta l'impressione che essi adottino un atteggiamento di distaccata indulgenza: non lo considerano teoricamente significativo, ma lo perdonano come una sorta di cedimento senile, espressione di buone intenzioni di impegno sociale e politico (Abbagnano fu anche, per un breve periodo, assessore alla cultura nel Comune di Milano), quasi del tutto estraneo al contenuto del suo insegnamento più autenticamente filosofico. Ora, non solo per rispetto alla personalità di Abbagnano, ma in considerazione delle questioni attuali della filosofia, sembra che sia proprio questo problema che va riesaminato per trarne insegnamenti utili al nostro presente. Non è solo per un fatale effetto di invecchiamento che uno studioso della storia della filosofia del peso di Abbagnano, il quale aveva segnato con opere magistrali la storia dell'esistenzialismo europeo - proponendone una originale versione, l'esistenzialismo ‘positivo’, aperto a una considerazione più amichevole della scienza e della tecnica - negli anni della maturità ha concepito e praticato la filosofia come discorso di saggezza rivolto al pubblico ‘generale’ e orientato alla considerazione dei problemi quotidiani. Invece di pensare questa sua ultima attività come un lavoro ‘laterale’, fatto con estrema dignità ma pur sempre marginale rispetto alla sua centrale vocazione di filosofo, bisognerebbe domandarsi se non si tratti qui dell'esito logico e coerente proprio degli interessi dell'Abbagnano storico della filosofia e dell'Abbagnano esistenzialista positivo. Oggi la filosofia è sottoposta a una domanda pubblica sempre più intensa e multiforme: si moltiplicano le scuole di medicina, di architettura, di economia degli affari, di psicologia, che richiedono l' intervento del filosofo. Si pongono (anche) ai filosofi i problemi nuovissimi della bioetica (e su questo fronte, bisogna riconoscere che proprio alcuni esponenti della scuola di Abbagnano, come Carlo Augusto Viano, hanno cominciato a impegnarsi attivamente). Non si può rispondere a questa domanda soltanto con uno sdegnoso rifiuto dell'eccessivo coinvolgimento nell'attualità, richiudendosi nella sempre più raffinata e scientifica conoscenza di grandi classici del passato, moltiplicando le ricerche sui testi anche di filosofi minori e minimi - senza porsi il problema di far servire queste ricerche storiche a una filosofia ‘militante’, che ha il coraggio di proporre nuove soluzioni teoriche e che parla alla coscienza comune. È molto probabile che una tale filosofia possa nascere in modo produttivo solo se ha continuamente presente l'eredità del pensiero dei filosofi del passato; e Abbagnano è stato proprio esemplare nel collegare discussione teorica e storia dei problemi (il suo Dizionario di filosofia, al cui aggiornamento Fornero sta lavorando, è un capolavoro sotto questo punto di vista). È soprattutto questo produttivo collegamento ciò che, oggi, l'insegnamento di Abbagnano ci invita a ritrovare.
                                                                                                                                                                                                                                Gianni Vattimo
In  “La Stampa”, 29 marzo 1996