VATTIMO G.

Il filosofo che ci ha insegnato Sartre e Juliette Greco

in "La Stampa",18 Novembre 2003 - 2003

Il filosofo che ci ha insegnato Sartre e Juliette Greco

Il filosofo che ci ha insegnato Sartre e Juliette Greco

Si è commemorato ieri Nicola Abbagnano in un serata milanese (al Teatro Franco Parenti), organizzata dalla UTET (con l'Associazione Pier Lombardo). Per i tipi della UTET sono uscite le sue opere più diffuse: la Storia della filosofia su cui molti di noi hanno studiato e il monumentale Dizionario di filosofia, capolavoro originale del pensiero italiano, giacché altri (anche buoni) dizionari che circolano sono traduzioni. Solo questo dobbiamo ad Abbagnano? La serata milanese è stata anche l'occasione di ripensare il suo contributo teorico in senso più stretto, niente affatto irrilevante e soprattutto assolutamente attuale, benché questo aspetto della sua eredità, quello che egli stesso battezzò "esistenzialismo positivo" e poi, insieme a Bobbio, "neoilluminismo", sembri oggi posto in secondo piano, non solo dai critici, ma anche dai discepoli storici (più antichi, e dediti prevalentemente al lavoro storiografico), che oggi insegnano nelle università.
Come filosofo teorico, Abbagnano era emerso soprattutto negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, quando, insieme al più giovane collega Luigi Pareyson, era stato uno dei primi banditori del verbo esistenzialista in Italia. L'esistenzialismo era allora la grande moda filosofica, almeno sul continente; e il tono prevalentemente pessimista di quella filosofia era anche molto congeniale al clima culturale del dopoguerra: Sartre, la Juliette Greco delle Caves di St.Germain des Pres, e soprattutto l'idea dello "scacco" che dominava le opere di Jaspers, la negatività angosciata che spirava dalle pagine di Kierkegaard e di Barth, la "decisa anticipazione della propria morte" di Heidegger, erano i temi di un pensiero che, se non si risolveva con il salto nella fede degli esistenzialisti cristiani, come appunto Pareyson, dava luogo a un impegno esistenziale così disincantato da dissolversi in un vero e proprio nichilismo irrazionalistico. Bobbio pubblicava a metà degli anni Quaranta la sua Filosofia del decadentismo, mettendo in guardia proprio contro questi esiti. I quali anche ad Abbagnano, fin dalla Struttura dell'esistenza, andavano stretti.
Del resto anche negli anni precedenti Abbagnano aveva sempre avuto uno spiccato interesse per la scienza e una avversione marcata per gli esiti irrazionalistici del romanticismo. A tutto questo si lega anche il suo "esistenzialismo positivo": la lettura della filosofia dell'esistenza come di una filosofia della possibilità. Heidegger aveva già definito l'esistenza come "progetto gettato". Abbagnano partiva di qui, e da Kierkegaard, per criticare il negativismo di queste filosofie, che egli vedeva determinato da una preferenza per la categoria di necessità. Dunque né l'inevitabile (necessario) scacco dell'ateo Sartre, né il salto nel Dio onnipotente (anch'egli necessario) degli esistenzialisti cristiani: ma la vita umana come apertura progettuale che doveva cercare di mantenersi tale anche nelle scelte morali. Una scelta etica positiva è quella che non si chiude alla propria possibile ripetizione futura, cioè che non nega la propria stessa possibilità: se rubo non posso accettare che gli altri lo facciano, così se mento o uccido . Era anche un modo di riprendere l'etica di Kant.
In questo quadro, l'Abbagnano del dopoguerra sviluppa il proprio interesse per il pragmatismo anglosassone, anzitutto per Dewey. In questa prospettiva la scienza non è conoscenza definitiva del "vero", ma soluzione di problemi via via diversi. Anche dei "problemi di tutti", come suona il titolo di un libro di Dewey. Di qui, negli ultimi anni, vengono gli scritti divulgativi dell'Abbagnano "giornalista", che alcuni suoi discepoli videro come un segno di debolezza senile; ma che invece risultano un aspetto costitutivo proprio del suo impegno esistenziale-positivo, che corrisponde, su un altro piano, all'impegno più francamente politico del suo amico Bobbio.
C'è un' attualità in tutto ciò? Se si pensa che oggi uno dei più noti e interessanti filosofi americani, come Rorty, propugna un neopragmatismo che si ispira, insieme a Heidegger, Wittgenstein e Dewey, ci si rende conto che la "possibilità" dell'esistenzialismo positivo di Abbagnano si mantiene ancora, secondo il programma. Come una possibilità ben nettamente aperta.
                                                                                                                                                                                                                   Gianni Vattimo
In "La Stampa",18 Novembre 2003


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Last night a commemorations of Nicola Abbagnano was organized in Milan (at the theatre Franco Parenti) by the publishing house UTET, together with the Association Pier Lombardo. UTET (Unione Tipografica-Editrice Torinese) published Abbagnano best known works: the Storia della filosofia which many of us ad studies; and the monumental Dizionario di filosofia, as original masterpiece of Italian thought. Other dictionaries in circulation, albeit good, were translations. But is this all that owe Abbagnano?
This meeting in Milan was also the occasion for rethinking his theoretical contribution, in the strict sense which is not at all irrelevant but, above all, absolutely topical. We know that this aspect of his legacy which he himself called "positive existentialism" and later together Norberto Bobbio a "new enlightenment", seems today of secondary importance, not only to critics, but also to his earlier "historical" disciples currently teaching in the universities, especially those devoted to work of a historiographical character.
Abbagnano distinguished himself as a theoretical philosopher above all in the years after the Second World War, when, with his younger colleague, Luigi Pareyson, he had been one of the first proponents of existentialism in Italy. In those days existentialism was the great philosophical fashion, on the European continent at least. Its prevailing pessimistic tone was most congenial to the post-war cultural climate: Sartre, Juliette Greco of Les caves de St.Germain de Prés, the idea of "the checkmate" dominating Jaspers's works, the anguished negativity found in the pages of Kierkegaard and Barth, Heidegger's decisive anticipation of one's own death, were all the themes of a philosophy that, unless it found a solution in the faith of Christian existentialists, such as Pareyson, led to an existential commitment so disenchanted that it could devolved into true irrational nihilism.
In the middle of the nineteen forties Bobbio published his Filosofia del decadentismo in order to put readers on guard against such consequences that Abbagnano from the time of his Struttura dell'esistenza (1939) also dit not accept. Moreover even in the preceding years Abbagnano had always had a strong interest in science and a strong aversion for the irrational implications of romanticism. His "positive existentialism" is also tied to all this: the reading of the philosophy of existence as a philosophy of possibility. Heidegger had already defined existence as a " project of being thrown". Abbagnano began with this concept and with Kierkegaard to criticize the negativism of these philosophies, which considered as the consequence of a preference for the category of necessity. He rejected, therefore, both the inevitable i.e. necessary stalemate of the atheist, Sartre,as well as the leap toward the omnipotent God (equally necessary) of the Christian existentialists. He considered human life as a project that was also to be kept open to moral choices. A positive ethical choice is not closed to its own possible future repetition, i.e., it does not deny its own possibility. If I steal, I cannot accept that others do it, nor if I he or kill. It was his way of taking up again the ethics of Kant.
From this framework Abbagnano developed in the post-war years his interest in anglo-saxon pragmatism, primarily for that of John Dewey. In this perspective science is not the final knowledge of "truth" but the solution of different problems as they arise. Likewise his interest in "Everybody's problems", as the title of one of Dewey's books has it. As a consequences, in his last years, the "journalist" Abbagnano published his popular writings, that some of his disciples considered a sign of senile weakness, but constitute, on the contrary, a constitutive aspect of his positive existential commitment which corresponds on another level to the more frankly political commitment of his friend Bobbio.
Is there anything current in all this? If we consider that these days one of the best known and more interesting American philosophers, Richard Rorty, proposes a neo-pragmatism inspired by Heidegger, Wittgenstein and Dewey, we realize that, according to the program, the "possibility" of Abbagnano's positive existentialism still remains a well open possibility.
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